L'alluce rigido consiste in una rigidità e scarsa mobilità dell'articolazione metatarso-falangea del primo raggio, cioè l'articolazione alla base dell'alluce, derivante da un'artrosi primaria o secondaria di questa articolazione. Si tratta di una condizione clinica simile all'alluce valgo, ma che riconosce cause, conseguenze e soprattutto soluzioni terapeutiche differenti.
Si associa a dolore e spesso alla presenza di sporgenze ossee, dette osteofiti, tra la testa del primo metatarso e la base della falange prossimale dell'alluce.
Questa patologia limita il movimento di estensione dell'alluce e pertanto rende più difficoltosa e fastidiosa la camminata.
L'alluce rigido colpisce circa il 2% della popolazione e si presenta più spesso nel sesso maschile fra i 30 e i 60 anni di età.
Quali sono le cause?
Esistono numerosi fattori, fra i quali ricordiamo un'eccessiva lunghezza del primo dito, una forma più piatta del primo metatarso, un'alterato angolo di incidenza al suolo del primo metatarso, la predisposizione familiare, lesioni osteocondrali, esiti pregressi traumi o interventi, gotta e malattie infiammatorie come l'artrite reumatoide.
Il paziente che soffre di alluce rigido ha difficoltà soprattutto a mettersi in punta di piedi o quando cerca di accovacciarsi a terra. Di comune riscontro è anche la formazione di una sporgenza dura e spesso dolente alla base dell'alluce.
Nella maggior parte dei casi, anche se già la visita ortopedica è sufficiente per porre la diagnosi definitiva, è comunque sempre consigliabile effettuare delle radiografie del piede sotto carico (cioè in piedi) per identificare eventuali altre patologia del piede e per definire il grado di artrosi metatarso-falangea.
L'alluce rigido, secondo la classificazione di Hattrupp, si divide in tre stadi, a seconda del quadro radiografico.
Nelle forme meno gravi il trattamento consiste in farmaci antiinfiammatori, Tecar-terapia, calzature tipo MBT (a dondolo) e infiltrazioni articolari di anestetico locale e cortisone, che comunque danno benefici solo temporanei.
Il
trattamento chirurgico si pone invece gli obiettivi di ridurre il dolore, correggere la deformità e tornare a un passo fisiologico.
Il dott. Verduci, a seconda del caso, effettua un intervento di cheilectomia (rimozione dell'osso esuberante) o un'intervento di artrodesi (fusione in blocco dell'articolazione) oppure la sostituzione dell'articolazione danneggiata con una
protesi metatarso-falangea.